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Sarajevo venti anni dopo

Venti anni fa, il 30 settembre 1993, Sarajevo era nel pieno del lungo e sanguinoso assedio, una ragazza che corre diventa il simbolo della città. La fotografia è opera di un coraggioso fotografo italiano, Mario Boccia. La ragazza che corre, che fugge, che cerca riparo dai proiettili dei cecchini. Proprio in quei terribili giorni l'Uisp decide di lanciare un ponte tra la sua manifestazione più nota, Vivicittà, e Sarajevo assediata. Si correrà proprio lì, nella capitale bosniaca, un'edizione speciale di Vivicittà nell'aprile del 95, al chiuso, al riparo dai cecchini e dalle bombe. Si corre per la pace, si corre nell'Olympic Centre, trecento ragazzi al via, nove giri di claustrofobia e di speranza. Vivicittà si correrà anche nel 1996 e a dicembre l'iniziativa di sport e solidarietà promossa dall'Uisp e dalla Gazzetta dello sport, "Buon Natale Sarjevo".

Sono passati vent'anni dalla foto "della ragazza che corre" e volentieri ospitiamo la testimonianza del fotografo Mario Boccia, un amico dell'associazionismo e dell'Uisp.

"Sarajevo, 30 settembre 1993. La capitale della Bosnia Erzegovina è assediata da 17 mesi. Le truppe nazionaliste serbo-bosniache la circondano dal 6 aprile 1992. Sarà l'assedio più lungo della storia moderna. ...La toponomastica di Sarajevo. Seduti fuori un piccolo bar, in via Radojka Lakic (partigiana nata nel 1917 e fucilata nel 1941) io e Edoardo aspettiamo il caffè. Qui, in piena guerra, ho gustato il miglior Nescafè della mia vita, preparato con cura maniacale, con lo zucchero sbattuto a mano, per mascherarlo da espresso con la crema. Per noi giornalisti, costa tre marchi tedeschi. Troppi, ma ben spesi".

"...Un altro sibilo, meno forte, l'esplosione tarda (un paio di secondi?), è più lontana. Vedo movimento verso il mercato. Mi avvicino, monto il duecento, seleziono un tempo veloce, controllo la luce. Una ragazza mi corre incontro. Inquadro, scatto e maledico di non avere impostato il motore sullo scatto continuo (per non sprecare pellicola). Troppo tardi, ormai mi è addosso e mi supera, ignorandomi. E' finita. Scatto ancora. Una coppia che corre, una donna dall'altro lato della strada, ma tutto sembra di meno.
Ho in testa lo sguardo della ragazza che corre. Quella ragazza non correva per paura, ma per rabbia. Essere entrambi sotto tiro non ci mette sullo stesso piano. La sua rabbia la posso intuire, ma non condividere. Lei è a casa sua e stanno sparando sulla sua città, le sue abitudini, la sua vita. Io sono un ospite volontario (e retribuito). Parte della sua rabbia deve essere anche per me, che ho rubato l'intimità di quella corsa. Che ci faccio qui? "Dovere di cronaca", certo, ma ripeterselo non è sufficiente. Lo stomaco si contrae di nuovo per un'esplosione più vicina, e i pensieri spariscono".

Ecco cosa è uscito su Repubblica.it, il 30 settembre 2013. Clicca qui.

Per visionare l'anticipazione del n.4 di ERODOTO 108 (rivista sfogliabile online e scaricabile in pdf), clicca qui.

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