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Calcio e cultura dello stupro: il nuovo libro di Pippo Russo

Il sociologo parte dal caso di Ched Evans, dello Sheffield United, per un'analisi del maschilismo nel mondo del calcio e di un clima giustificazionista

 

La storia di uno stupro, quella della cultura maschilista, il calcio come contesto, che tutto occulta e deforma. Silenzia o amplifica, a seconda dei casi. Il sociologo scrittore Pippo Russo presenta il suo nuovo libro “Calcio e cultura dello stupro. Il caso Ched Evans", Meltemi editore. Per presentare il suo libro è stato intervistato dal Messaggero e risponde così: “Ciò che non perdoneremmo a un soggetto qualsiasi arriviamo a perdonarlo al soggetto cui siamo legati per appartenenza tifosa – afferma Pippo Russo - E quello che mi ha sconvolto è stato il modo in cui uno stupro sia diventato oggetto di discussione pubblica e di rivelazioni, effettuate in modo anche violento ed estremamente abusivo, sulla vita della vittima. Penso sia la dimostrazione esemplare di cosa sia una cultura dello stupro”. Il libro è diviso in due parti: la prima riporta i fatti di cronaca e la seconda li analizza con gli strumenti della critica sociale.

Aprile 2012: Ched Evans, giovane stella nascente del calcio inglese, viene condannato a cinque anni di reclusione per lo stupro di una diciannovenne. Il centravanti dello Sheffield United sconta due anni e mezzo di carcere, salvo poi ottenere la cancellazione della pena dopo la revisione del processo. Quello di Ched Evans è un caso particolarmente controverso e pone diverse questioni delicate, come quelle della complessità della vicenda giudiziaria, del ruolo dei media e delle fragili tutele per le vittime di stupro.

“Esistono numerosi campi della discriminazione di genere – prosegue Russo sul Messaggero - nel mondo dello sport e soprattutto nel calcio, che è stato trasformato in una sorta di mondo del divismo, questo tipo di discriminazione è estremamente radicata, presente, sottile e impercepita. Il modo che hanno i calciatori di autopercepirsi nelle relazioni di genere è a mio avviso estremamente diffuso e si tratta di una predisposizione di carattere globale".

Anche il Manifesto si è occupato del libro in questi giorni, con un articolo di Pasquale Coccia, nel quale Pippo Russo spiega il suo punto di vista: “L’aura di divismo può avere conseguenze sull’autopercezione dei calciatori come soggetti sociali e anche sulle relazioni che hanno con le donne: si sentono di essere dei seduttori seriali, che nella relazione concedono un privilegio alle donne. La parte di grande desiderabilità sociale, che è stata costruita intorno a loro, ha ripercussioni nelle relazioni di genere. Questo è indice di una mentalità machista molto diffusa nel calcio, che oggettivamente fa da retroterra. Del resto è un mondo che nega la presenza dei calciatori omosessuali al suo interno”.
“Nella formazione dei calciatori dovrebbe passare il principio, che «”no” vuol dire no». Nella cultura dello stupro il no di una donna è un sì, che va tirato fuori. Le relazioni di genere sono tra soggetti pari, non ci sono ruoli sociali che godono di speciali privilegi in termini di seduzione, compreso i calciatori. Occorre promuovere un processo di sensibilizzazione che non c’è non solo nel calcio, ma in tante altre discipline sportive. Le società di calcio si muovono solo quando vi è un danno all’immagine della squadra e perché dopo episodi di stupro c’è una perdita del valore del calciatore”. (I.M.)

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