Nazionale

Il diritto alla salute e a stili di vita attivi è di tutti

Lo psicologo Fabio Lucidi ospite alle 12.30 della trasmissione di Radio 1 Rai, La radio ne parla, condotta da Ilaria Sotis

Lo psicologo dello sport è stato ospite della trasmissione di Iaria Sotis, La radio ne parla, su Radio 1 Rai, che affrontava i temi della salute e dei sani stili di vita. Lucidi ha evidenziato come l'attività motoria rientri in quei passi fondamentali per garantire un diritto di cittadinanza alla salute. Per ascoltare la trasmissione di venerdì 4 luglio clicca qui.

 

Fabio Lucidi, psicologo dello sport dell'università La Sapeinza di Roma, sabato 28 giugno ha pubblicato un articolo su l'Unità, sui temi della salute e degli stili di vita che pubblichiamo di seguito.

Lo sport per tutti tra emergenze sanitarie e diritti di cittadinanza. Negli scorsi giorni ho avuto l’opportunità di moderare un convegno organizzato dalla Uisp sull’importanza dell’attività motoria e sportiva nel quadro delle attuali politiche della salute. A Trento politici, operatori sociali, urbanisti, medici, psicologi discutevano di un tema in apparenza scontato: la rilevanza del movimento fisico per la salute è dimostrata, l’esercizio allunga la durata della vita e ne migliora la qualità. Al contrario, la sedentarietà è causa di patologia e va arginata. C’è poco da discutere.

Il quadro appena fornito dai dati “Eurobarometro” sullo sport e sull’attività fisica mostra però che il 60% dei cittadini italiani non svolge alcuna attività sportiva. Paradossalmente, proprio quando le istituzioni, da quelle sportive a quelle sanitarie, raccoglievano finalmente gli stimoli dell’associazionismo e mettevano a fuoco l’importanza di favorire lo sport per tutti, i cittadini smettevano di praticarlo. Negli ultimi 5 anni, il numero dei sedentari è infatti aumentato del 5%. Ecco cosa c’è da discutere: quali sono le strategie opportune per facilitare l’adozione di stili di vita fisicamente attivi e in cosa, in Italia, stiamo sbagliando nell’applicarle?

Inquadrare il problema vuol dire collocarlo nella ridefinizione delle politiche sulla salute avvenuta negli ultimi 30 anni. All’epoca, la salute era considerata una condizione aleatoria, il cui andamento era attribuito a un patrimonio genetico inconoscibile, al medico, alla fortuna. Tra gli anni ottanta e la fine del millennio divenne chiaro che la salute era invece un tema probabilistico, più legato agli stili di vita connessi con i fattori socio-economici che a tutte le altre fonti prima citate. Le istituzioni, riconoscendo queste evidenze, spostarono il proprio impegno dal tema della cura a quello della prevenzione della malattia e infine verso la promozione delle risorse di salute. L’attenzione si spostava dalle competenze del medico, capace di curare un corpo malato, a quelle del cittadino capace di tutelare la propria salute. Si trattava di una sfida enorme per le istituzioni: ridurre le diseguaglianze sociali capaci di ostacolare una salute di cittadinanza. Si presentava la grande opportunità di restituire a cittadini, finalmente considerati adulti consapevoli, il protagonismo in quella straordinaria cartina al tornasole del proprio ruolo politico che è la salute. Il rischio connesso era quello che il sistema sanitario si limitasse a scaricare le sue responsabilità sul cittadino che, qualora si fosse ammalato, sarebbe diventato più colpevole e meno assistito. L’obiettivo era dunque fissato: salute per tutti, non era solo il titolo di un blog di questo giornale, ma anche un grande manifesto dell’OMS per l’allargamento della platea dei portatori di quei diritti di cittadinanza che venivano riconosciuti come “determinanti non sanitarie della salute”.

Le crisi, come dice la parola, cambiano molte cose. Talvolta rendono la realtà più confusa. La necessità di rispondere alle emergenze sociali e lo sforzo di tutelare i diritti di cittadinanza non sono la stessa cosa. Le azioni di prevenzione focalizzate sui fattori di rischio per qualche malattia e quelle più generali sulle risorse di cittadinanza per la promozione della salute pubblica non sono la stessa cosa. Il risparmio sulla spesa sanitaria e l’importanza di guadagnare salute non sono la stessa cosa. Però, si confondono facilmente. Così, rischiamo di guardare al dito, pensando alla sedentarietà come alla causa individuale di mille patologie che pesano sul bilancio della sanità collettiva. Rischiamo di rispondere prescrivendo dosi di movimento in quantità e intensità standard basate sulle linee guida, sfortunatamente senza ottenere apprezzabili risultati. Se si guarda alla luna, appare però chiaro che la sedentarietà è l’effetto sull’individuo di mille fattori collettivi. Fattori economici, organizzativi, urbanistici, culturali, sociali, oltre che sanitari, sui quali dobbiamo agire con decisione attraverso un approccio intersettoriale rispettoso delle reciproche competenze. Ancora più che in passato il ruolo dell’associazionismo sportivo è cruciale. Nessuno è in grado di proibire la sedentarietà o di obbligare all’esercizio. Solo la cultura della promozione sportiva, quando dialoga con gli operatori della politica, della salute, dell’urbanistica, dell’istruzione è in grado di favorire le opportunità di scegliere uno stile di vita attivo. In fondo, adattando al movimento fisico quella retorica che Sepulveda e Petrini riferiscono all’alimentazione, si tratta di favorire quel diritto al piacere che è tuttora il più rivoluzionario, democratico, umano degli obiettivi.

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