Nazionale

Non chiediamo trattamenti particolari, ma solo buona informazione

Formazione, ecco la chiave: ovvero raccontare che un’altra informazione è possibile anche nello sport. Il contributo di Silvia Garambois, presidente di GiULiA giornaliste

 

E adesso eccoci alla prova olimpica (dei media). Quando due anni fa abbiamo lanciato il manifesto “Media, donne e sport” nei giornali e in tv sembrava che il problema delle donne nello sport non se lo fosse mai posto nessuno: erano le “mogli di” o le “fidanzate di” (le wags), a cui venivano dedicate rubriche anche nelle testate generaliste per “alleggerire” l’informazione e mostrare beltà in costume da bagno; se invece erano campionesse, la telecamera indugiava per farci vedere quanto fossero toniche, belle cosce e bei glutei, e magari bel petto. Certo, non tutto così: c’erano le “eroine” a cui andava particolare attenzione (nuoto e sci, soprattutto) ma in generale le notizie delle imprese sportive femminili finivano in basso pagina, mai in prima serata in tv.

L’idea del “manifesto”, condivisa da GiULiA con Uisp, ma che ha subito trovato l’adesione dell’Ordine nazionale dei giornalisti e dell’Ordine del Lazio, della Fnsi e della Cpo Fnsi, dell’Usigrai e della Cpo Usigrai, e poi dell’Ussi, dell’Ucsi, dell’Associazione Italiana Calciatori e dell’associazione Assist, nonché delle docenti universitarie riunite nel GIO-Gender Interuniversity Observatory, nasceva alla vigilia dei mondiali di calcio femminile di Parigi: la nostra squadra era qualificata (quella maschile, invece, l’anno prima non era riuscita ad arrivare a Mosca). Come ne avrebbero scritto i giornali, visto che per quell’estate il calcio era solo delle donne? E come avrebbero affrontato le Olimpiadi di Tokyo 2020?

Una traccia per il nostro lavoro, in realtà, già c’era: alle Olimpiadi del 2016 in Inghilterra c’era stata una mezza rivolta per il pessimo modo in cui i giornali raccontavano le imprese sportive femminili, e il Guardian stilò un vero vademecum per i suoi inviati. Vietato soffermarsi su aspetto fisico, look, relazioni sentimentali, non diversamente comunque da quanto si fa normalmente con gli atleti uomini.

Noi, come GiULiA giornaliste – e con il contributo di Manuela Claysset per l’Uisp, oltre che della professoressa Laura Moschini per GIO e di Mimma Caligaris per la Cpo Fnsi – abbiamo anche realizzato un manualetto, curato da Mara Cinquepalmi, per poter meglio fare formazione nei corsi professionali per i giornalisti e chiedere una cosa sola: buona informazione. Manuale che abbiamo dedicato a una collega purtroppo prematuramente scomparsa, Manuela Righini, la prima tra le giornaliste di sport a far davvero… clamore, e a farsi sentire! Era la metà degli anni Settanta del secolo scorso quando un giorno Manuela si stufò di aspettare fuori da una porta chiusa alle donne per dover poi chiedere ai colleghi maschi “cosa hanno detto lì dentro?”. Semplicemente, quel giorno, entrò anche lei. Negli spogliatoi della Fiorentina. Mentre i calciatori andavano alle docce, nudi e crudi. Manuela Righini su wikipedia è definita “la prima giornalista sportiva italiana”, è stata a Paese Sera, all’Ansa, e poi al Corriere della Sera, e chissà se lo raccontava ancora di quel giorno in cui successe un putiferio, tutti i giornalisti cacciati fuori, tutti contro di lei. Ma l’ebbe vinta: spogliatoi per nessuno, notizie uguali – dopo - per tutti. 

Formazione, ecco la chiave: ovvero raccontare che un’altra informazione è possibile anche nello sport. Denunciavamo allora, due anni fa, “la modesta, inadeguata e spesso stereotipata rappresentazione degli sport femminili sui media”. C’è ancora tanto da fare, ma questi due anni sono stati importanti. Un pezzo di strada è stata fatta: i Mondiali di calcio femminili del 2019 hanno dato un vero scossone ai giornali. Nelle redazioni, almeno, hanno cominciato a chiedersi “Ma come si dice?”. Arbitro o arbitra? Il capitano, il portiere e il centravanti: «Ma non fa ridere se dico che nella difesa marcano a uomo e nell’uno contro uno si fanno valere?».

E così, se nelle dirette on line abbiamo sorriso leggendo che Sara Gama veniva “ammonito” e Sem Carr veniva “atterrato” (tutta colpa dell’algoritmo, si difendevano nei giornali, dopo aver dato la grammatica in ostaggio), ci siamo anche arrabbiate a leggere che lo squadrone delle campionesse veniva ancora derubricato a “le Azzurrine”. Ditelo un po’ alla squadra di Mancini, che ha trionfato agli Europei 2020, se erano “azzurrini” anche loro… (Silvia Garambois)

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