Nazionale

Sport e diritti: promuovere l'accesso di tutt* alla pratica sportiva

"TheVision" approfondisce il tema degli atleti trans, dei pregiudizi e delle discriminazioni. E cita il tesseramento 'Alias' Uisp come buona pratica

 

Atleti trans, pregiudizi e discriminazioni. Se ne occupa l'articolo di Antonia Caruso sulla testata on line The Vision.

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L'articolo cita il tesseramento 'Alias' Uisp come buona pratica: "il cambio anagrafico in Italia richiede almeno due anni. Una soluzione potrebbe essere quella di rendere disponibili le carriere alias anche in ambito sportivo. Questo provvedimento amministrativo, già in uso in molti atenei italiani, permette alle persone trans di avere tesserini e badge con il nome scelto, in attesa dell’effettivo cambio anagrafico. L’Unione Italiana Sport per Tutti (Uisp) ha già attivato questa possibilità per iscritti e iscritte trans”. GUARDA LO SPOT UISP

Continua la riflessione su sport e diritti che l’Uisp ha intrapreso ormai da anni e che sta condividendo con associazioni, Università, giornalisti, sportivi ed esperti. La scorsa settimana a Napoli si è tenuto l’incontro su leadership e parità di genere organizzato nell’ambito delle Universiadi 2019, in cui è stato presentato un decalogo per il contrasto alle discriminazioni di genere nel mondo dello sport, prodotto grazie al lavoro comune di Uisp, Arcigay Antinoo di Napoli, Fondazione GIC-Genere Identità e Cultura, Centro Sinapsi dell’Università Federico II e Dipartimento di scienze motorie e del benessere dell’Università Parthenope. Le varie indicazione contenute nel documento (clicca qui per leggere il decalogo) mirano ad avviare un'importante azione formativa su diversi livelli, volta a decostruire la divisione rigidamente binaria, maschile e femminile, della pratica sportiva. Una grande rivoluzione culturale che parte dall'educazione sportiva dei bambini non più costretti a scegliere già da piccoli uno sport ritenuto adatto ad un genere piuttosto che all’altro. GUARDA IL VIDEO dell’intervento di Paolo Valerio, del Centro Sinapsi dell’Università Federico II.

La discussione rimbalza dai giornali alle università e un bell’approfondimento è disponibile sul sito TheVision a firma di Antonia Caruso: “Insieme a bagni, carceri e ospedali, lo sport è un ambito dove vige una rigida divisione per genere – si legge nell’articolo - Siamo di fronte a un esempio comune delle discriminazioni e della burocratizzazione che il corpo delle persone trans subisce che ha una doppia valenza di tutela e di controllo. La divisione per genere di spazi come bagni e spogliatoi viene giustificata con la tutela della privacy e il rischio di molestie sessuali da parte dell’altro genere, cioè degli uomini sulle donne. Era un sistema che poteva funzionare, fino all’emergere delle soggettività trans. Sono però le donne trans a subirne le conseguenze, considerate uno spauracchio mostruoso, quasi come se fossero portatrici di peni molestatori con una volontà autonoma rispetto alla persona. Nel caso di atleti trans, ma ancora di più di atlete trans, il pregiudizio è ancora più forte: le sportive trans sono uomini, hanno un Dna maschile e non possono competere sullo stesso piano delle donne cisgender”.

Lo sport, però, non è solo una questione di massa muscolare – scrive Caruso - ma è anche gioco, tattica, strategia, capacità di prevedere e relazionarsi con l’avversario, gioco di squadra. Ridurre tutto a una questione di Dna o di livelli ormonali è squalificante per la professionalità di queste persone. Che sia giusto o sbagliato, chi critica l’accesso alle competizioni alle atlete e agli atleti trans non offre una soluzione alternativa. Le due soluzioni ipotizzabili sono la competizione nelle gare del genere assegnato alla nascita o l’interdizione totale dalle competizioni. Se l’obiettivo dell’esclusione delle sportive trans dalle gare femminili è garantire l’equità nella competizione, bisognerebbe anche ricordarsi che non è per niente equo nei confronti di atleti e atlete che hanno intrapreso un percorso di transizione”.

Proprio per facilitare l’accesso alla pratica sportiva delle persone che vivono questa difficile fase della loro vita, l’Uisp ha promosso il tesseramento Alias, un’azione importante per il riconoscimento delle persone trans nel mondo sportivo, rivolto a chi ha avviato il percorso anagrafico anche se non ha terminato tutto l’iter. “Al di là dell’ambito agonistico, l’accesso allo sport è un problema trasversale – prosegue l’articolo - Prima di tutto per le implicazioni legate al cambio anagrafico, che in Italia richiede almeno due anni. Una soluzione potrebbe essere quella di rendere disponibili le carriere alias anche in ambito sportivo. Questo provvedimento amministrativo, già in uso in molti atenei italiani, permette alle persone trans di avere tesserini e badge con il nome scelto, in attesa dell’effettivo cambio anagrafico. L’Unione Italiana Sport per Tutti (Uisp) ha già attivato questa possibilità per iscritti e iscritte trans”. GUARDA LO SPOT UISP

La conclusione dell’articolo di Antonia Caruso è rilevante, perché fa riferimento al valore simbolico e inclusivo dello sport: “Atleti e atlete trans sono dei modelli di riferimento molto forti per la comunità trans. La narrazione dominante riguardo le persone trans è spesso quella del corpo sbagliato, da modificare con cure ormonali e chirurgia, anche con la prospettiva di rientrare in modelli estetici binari. I corpi delle persone trans possono cambiare, ma solo fino a un certo punto. L’accettazione del proprio corpo può passare anche attraverso la pratica sportiva, sia individuale che in squadra. In Brasile, il Paese con il più alto tasso di omicidi a sfondo transfobico, dei ragazzi trans hanno formato un’intera squadra di calcio. In Brasile, così come in Italia e nel resto del mondo, lo sport è uno strumento potente per dimostrare che le persone trans e intersex possono gareggiare, competere, vincere o perdere, ma soprattutto sconfiggere il pregiudizio di chi si ostina a considerarle delle anomalie”. (a cura di Elena Fiorani)

 

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