Comitato Regionale

Emilia-Romagna

Granelli dal Sahara

Mercoledì 16 aprile, nella sala polivalente della Regione Emilia-Romagna a Bologna, verrà proiettato "Solo per farti sapere che sono viva", il docufilm sul popolo saharawi realizzato in collaborazione con Peace games

di Valentina Laudadio


BOLOGNA - Un viaggio che porta nei campi di rifugiati in Algeria, dove i saharawi hanno fondato una repubblica e le donne occupano posizioni di prestigio godendo di una totale parità. È una storia, però, che nasconde tante cicatrici. Simona Ghizzoni ed Emanuela Zuccalà raccontano quella di dodici donne nel docufilm "Solo per farti sapere che sono viva", realizzato in collaborazione col "Tavolo paese saharawi" della Regione Emilia-Romagna, un coordinamento di associazioni, tra le quali Amnestry International e Peace Games - l'organizzazione di cooperazione internazionale fondata nel 1990 dalla Uisp -. Il documentario sarà presentato mercoledì 16 marzo nella sala polivalente della Regione Emilia-Romagna a Bologna, in viale Aldo Moro, alle 14,30.

È una storia di tortura, prigioni segrete e fosse comuni. Secondo l'organizzazione non governativa Afapredesa sono almeno 4.500 i casi di sparizioni forzate tra i saharawi, il popolo del Sahara occidentale che dal 1991 aspetta un referendum per votare la propria indipendenza.  Il docufilm di Ghizzoni e Zuccalà riassume un pezzo di storia e fa parlare le donne, protagoniste in queste terre. Un lavoro svolto grazie anche alle competenze complementari delle due autrici: Simona Ghizzoni, fotografa interessata al tema della condizione femminile, ha effettuato alcuni lavori su vecchie fotografie delle profughe, mentre Emanuela Zuccalà, giornalista freelance, si è occupata della ricerca di video nell'archivio di guerra e di intervistare le protagoniste.

Le testimonianze di queste donne propongono una prospettiva tutta al femminile, ma ciò che si vuole indagare è la cultura di un popolo intero che è vittima di ingiustizie e tragedie dal 1975, quando il Marocco occupò il suo territorio. Non è solo un documentario, quindi, ma un modo per pensare ai diritti umani e a quelle cicatrici che la guerra lascia nella vita degli individui. Un altro granello di sabbia che si va ad aggiungere alla narrazione della storia dei saharawi che da anni diffondono la loro cultura attraverso iniziative e manifestazioni, come la Sahara marathon.

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