Una prima sostanziale differenziazione di intenti e di metodo si può operare fra "corsi rivolti ad operatori professionali del settore sicurezza" e corsi rivolti a "cittadini qualunque", prescindendo da determinazioni di sesso e di età. Ciò, in base alla semplice riflessione che gli operatori professionali ricevono in genere, accanto ad un'eventuale formazione "marziale" che possono svolgere con i nostri istruttori, una preparazione più generale sulla sicurezza, il conflitto, la gestione delle situazioni di tensione. Nei loro confronti, allora, pur affrontando anche tali argomenti, il corso può avere una dimensione più "tecnica".
Nei confronti del generico cittadino che, invece, può frequentare i nostri corsi, è indispensabile mettere costantemente al centro dei nostri intenti la necessità di non creare false ed illusorie sicurezze che, in situazioni di tensione, potrebbero rivelarsi gravemente controproducenti e generare un innalzamento del livello di scontro insostenibile nella dimensione reale. Si tratta quindi di aiutare chi frequenta questi corsi a prendere coscienza delle proprie potenzialità, spingerli a conoscere meglio quegli aspetti di se stesso e quegli atteggiamenti che incentivano un eventuale malintenzionato a vedere in essi una preda ideale, ma al tempo stesso aiutarli a conoscere meglio anche i propri limiti, a calare suggerimenti ed insegnamenti tecnici in una dimensione reale, nella quale l'impatto psicologico di un'aggressione ai propri danni svolgono un ruolo assolutamente primario rispetto alle conoscenze tecniche.
Da questa differenziazione fra referenti delle nostre iniziative emerge anche la necessità di un peso diverso da dare, nei due casi, anche alla preparazione "giuridica e legale".. chi si rivolge ai nostri corsi per un bisogno di sicurezza si pone anzitutto la necessità di "cavarsela" in una situazione temuta, nella quale si trovasse eventualmente a svolgere un poco gradito ruolo di "preda". E le prede, si sa, raramente devono porsi il problema legale del travalicamento dei limiti della "legittima difesa"..
Da tempo gli associati ci chiedono una risposta organizzativa su questo tema. È noto quanto io sia titubante su questo terreno scivoloso, ma non possiamo astenerci da un intervento e lasciare il campo libero "all'anarchia associativa". Qualunque proposta non sarà adeguata, ma è sempre meglio del non fare nulla. Abbiamo il compito di intervenire avanzando una proposta che tenga conto di equilibrio ed equilibri, che nel tempo e con l'esperienza su macroscala potrà definirsi meglio. Vi sono competenze, diverse, maggiori o minori dentro la nostra associazione, ma non è utile/strategico, oltre che giusto, lasciare solo ad un segmento una titolarità esclusiva e nemmeno conferire primati. È un progetto che deve prevedere condivisione di competenze e responsabilità.
Il tema della sicurezza diventa sempre più sentito dalle persone. Al netto della strumentalizzazione e della speculazione politica o dell'ingigantimento mediatico, che crea una percezione non sempre corrispondente alla realtà, una "fabbrica della paura", rimane il fatto che è un tema urgente e forte. È una questione che sempre più incide nelle relazioni sociali, interpersonali, nella qualità della vita delle persone. Si sono moltiplicate piccole e grandi paure. Gli stupri, le rapine, la microcriminalità di strada, gli incidenti provocati da giovani alla guida ubriachi o drogati, il bullismo, la violenza gratuita solo per chiudere una serata noiosa. La cronaca è diventata un "bollettino di guerra", un'inquietante stillicidio sull'impazzimento della ragione. A questo imbarbarimento della convivenza civile si somma l'angoscia per il lavoro che manca o l'estensione di un precariato de-sindacalizzato e senza tutele, la perdita del potere d'acquisto dei salari, la riduzione dei consumi, le rate del mutuo, la diffidenza del diverso da sé ...).
La politica ha trovato vantaggioso enfatizzare le paure collettive e le promesse di securizzazione (dai militari per le strade, alla social card per i meno abbienti), con ciò senza affrontare alla radice i problemi e finendo per generare una più profonda insicurezza, una ulteriore sensazione di fragilità. Non è un tema che si può affrontare in maniera opportunista o parziale. Affrontare questo tema significa nel contempo porsi quello di quale sviluppo civile, del come affrontare le relazioni interraziali, il rapporto con le problematiche sociali e con se stessi. Nella società post-industrializzate, permangono enormi squilibri, tuttavia in molte aree geografiche sono migliorate le condizioni primarie e si è allungata l'aspettativa di vita, ma nel contempo si sono estesi tratti di precarietà, di insicurezza, di ingiustizia. L'uomo contemporaneo, anche quando vede migliorate le proprie condizioni materiali, trova inevasi bisogni "radicali". È un malessere profondo, che non si giustifica solo con la precarietà del lavoro, il degrado socio-ambientale, l'insicurezza urbana e le mille difficoltà della quotidianità. Evidentemente c'è qualcosa di fondamentale nel sistema di sviluppo, delle relazioni e dell'educazione, che non è stato tenuto nel debito conto. Ne sono prova gli stati di malessere non organici: ansia, angoscia, depressione e le patologie collegate; l'aumento dell'uso degli psicofarmaci, la difficoltà a gestire situazioni sociali e relazionali, i tanti, troppi fenomeni di irrazionalità e dolore esistenziale, i suicidi.
La sicurezza esogena (ambientale) ed endogena (personale) sono due facce della stessa medaglia. Il primo luogo di insicurezza è spesso il proprio ambiente. Anticamente l'ambiente naturale selvaggio, per i suoi pericoli, la sua imprevedibilità o inospitalità, era un luogo che produceva paura, insicurezza. Oggi la manipolazione del sistema sta provocando una reazione sempre più violenta della natura, gli stessi ambienti antropizzati, resi cosi dall'uomo per essere luoghi accoglienti e sicuri, diventano, invece, sempre più socialmente incontrollabili e sgradevoli. Un fenomeno che dalle grandi metropoli si sta trasferendo anche nei piccoli centri. Dalla urbanizzazione malsana, alla caoticità, al fenomeno della delinquenza e della violenza. Spesso le stesse relazioni famigliari, interpersonali, microsociali da luogo piacevole e protettivo, diventano incomprensione, tensione, conflitto, tragedia. Il dialogo collassa di fronte alla paura e all'odio.
Attraverso lo studio dell'impatto ambientale in generale e degli eventi sportivi, il nostro settore ambiente incrociando l'esperienza del progetto "il corpo va in città", ha elaborato un quadro di analisi e proposte sulla vivibilità e la fruibilità dei nostri ambienti urbani. Abbiamo molti elementi per costruire una proposta che può integrare anche il tema della "sicurezza". La scelta è tra il tema di una cultura urbanistica e della socialità o quello di una militarizzazione del territorio, che siano le forze dell'ordine o le ronde. Lo stato deve essere presente nelle maniere opportune, ma il cittadino si deve riappropriare del proprio ambiente e allo stesso tempo presidiarlo, facendo vivere il territorio, attraverso la presenza di eventi e dell'utilizzo continuativo di spazi, sottraendoli quindi alla delinquenza, alla prostituzione, allo spaccio, al degrado.
Da sempre il sistema sociale da risposte deboli e non organiche al tema della sicurezza personale. Al di là di una politica populista anche il sistema di governo si accorge poco del fenomeno, nonostante le ripercussioni sulla condizione di felicità degli individui, sulla civiltà delle relazioni e sui costi sociali. La dimensione e la complessità della materia meriterebbero un progetto di intervento su più fronti e di lunga e ampia prospettiva. È più facile prospettare immediate, quanto finte, soluzioni ed intervenire su un segmento, in questo caso una risposta individuale. Negli ultimi anni si è mostrato sempre più attento, invece, il mercato, che qui, ne ravvisa fonti di guadagno. Le forme con le quali si inserisce in questa domanda sono molteplici e di varia qualità ed affidabilità. È indubbio che la proliferazione dei molti corsi di difesa personale si inscrivono in questo contesto. Vanno distinti due blocchi dalle finalità e dalla strutturazione decisamente diversa. Da una parte ci sono i corsi rivolti a particolari categorie professionali: forze dell'ordine e chiunque operi nel campo della sicurezza. Qui va confezionata una proposta tecnica parametrata alle necessità, dalle esigenze difensive a quelle contenitive e costruire insieme - ed è estremamente importante - un'etica della responsabilità ed una cultura delle relazioni, che si traduca in una strategia comunicativa tale da rendere il confronto fisico l'ultima ratio, eliminando la violenza gratuita ed isterica.
Altra cosa è la difesa personale rivolta ai soggetti potenzialmente "deboli", "a rischio", primo fra tutti le donne. È un terreno delicato e scivoloso. Credo sia ormai fin troppo evidente che proporre una efficace strategia difensiva in poche lezioni sia roba da imbonitori. L'onestà intellettuale ci impone di spiegare insieme all'utilità, i limiti di questa proposta. Occorre evidenziare che solo una pratica continuativa e costante può dare risultati apprezzabili. Deve essere l'occasione per affrontare socialmente il tema della violenza e della prevaricazione, che sia la molestia, lo stalking, il maltrattamento nell'ambito famigliare, l'aggressione a fini sessuali od estortivi. Sul piano individuale, un buon percorso, nel tempo, può incidere in maniera positiva sull'autostima; permettere di riconoscere situazioni a rischio e valutarli nella giusta misura; prendere consapevolezza del proprio corpo, limiti e potenzialità; decodificare i propri sentimenti di ansia e paura e lavorarci sopra; gestire la propria e l'altrui aggressività sia prevenendo situazioni di conflitto, che affrontando relazionalmente e fisicamente episodi di oppressione, prevaricazione o aggressione psicologica e fisica. Affrontare questa problematica significa avviare un complesso, ma proficuo, percorso di riconoscimento di sé e affermare il sacrosanto diritto alla sicurezza e alla propria libertà. La paura è una forma di intollerabile limitazione della libertà personale. La base contestuale deve essere una battaglia culturale. La lotta alla violenza deve passare attraverso l'insegnamento del rispetto, della tolleranza, dell'uguaglianza come principi morali di affermazione nella società e quindi lo scopo è quello di creare un movimento socio-culturale al fine di rafforzare la fiducia nelle istituzioni e nelle strutture che operano per la nostra ed altrui sicurezza, agevolare il contatto fra i "deboli" e coloro che sono preposti alla loro tutela, gettare le basi per far si che non ci possano più essere scappatoie legali e burocratiche da parte dei colpevoli, stimolare il tessuto sociale a reagire nei confronti di tali piaghe, comprendere la reale dimensione del problema, dare chiari segnali di svolta e costruire una cultura del rispetto e della tolleranza dove la sottomissione del debole non sia strumento di affermazione della propria identità ma al contrario la tutela di sé e degli altri, sia un pezzo importante della costruzione di una società civile e responsabile. Siamo nel campo della sperimentazione e la galassia delle esperienze è la più diversificata.
Una delle letture delle arti marziali è ovviamente la difesa personale. Un'Associazione come la nostra se ne deve occupare e dobbiamo farlo senza meschinità e cinismi mercantili o faciloneria. Sentiamo tutta la responsabilità delle implicazioni. La nostra natura non ci rende sospetti e le competenze acquisite in tanti anni di lavoro serio nel campo delle arti marziali e dello studio non solo di tecniche difensive ma di metodologie che dialoghino in maniera positiva con il profondo di sé stessi, ci permette di avere titoli per costruire un progetto serio e non solo di "facciata" rispetto una problematica cosi delicata, importante e che diventa sempre più percepita, appunto, dal cittadino in generale e da alcune categorie di soggetti in particolare, come prioritario per la propria qualità di vita. Spesso le proposte sul mercato sfruttano l'emotività e l'ignoranza. Sono proposte di basso profilo e/o disoneste intellettualmente. Su questo tema non si può fare business e nemmeno improvvisarsi. La sicurezza è un diritto di cui la collettività se ne deve fare carico e qualunque risposta va inquadrata come un servizio, contemplando la collaborazione con le istituzioni pubbliche: amministrazioni comunali, USL, associazioni femminili.
(Tratto dalla relazione congressuale)
Franco Biavati
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