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Roma

Black Italians: la profezia di Mauro Valeri si è concretizzata a Parigi

Molte medaglie azzurre ai Giochi sono arrivate grazie ad atleti con background migratorio, mostrando un'Italia in trasformazione. Di D.Conti e D.Valeri

 

Le Olimpiadi e le Paralimpiadi di Parigi 2024 hanno messo in luce non solo i successi sportivi dell'Italia, ma anche importanti questioni legate all'identità nazionale e all'integrazione.

Le nostre nazionali si stanno “colorando” sempre di più e molte medaglie sono arrivate da atleti con background straniero. Scorrendo nomi e provenienze si osserva come nelle Olimpiadi di Tokyo fossero presenti 57 atleti e atlete olimpici di cui 11 nati all’estero e 46 nati in Italia figli di uno o entrambi i genitori stranieri o adottati, mentre alle Olimpiadi parigine, pur scendendo a 52 il numero totale, è aumentato quello delle persone nate in Italia (16 contro 36). Nella squadra paralimpica il balzo è ancora più netto passando da 6 atleti/e a Tokyo ai 15 di Parigi.

Le immagini di Parigi ci hanno riportato vittorie, sorrisi, cadute, abbracci, lacrime… come sempre in qualunque attività sportiva, in cui la gioia è l’elemento portante. Anche in molte interviste è stato messo l’accento sul tema: “Darò il meglio oggi, ma voglio anche divertirmi”. C’è addirittura chi è stato contento di arrivare quarto, tirandosi addosso le ire di certi ex atleti e giornalisti che forse hanno dimenticato quanto lavoro serve solo per arrivare ad essere qualificati ad un evento del genere e ottenere un risultato comunque di tutto rilievo. Purtroppo, questa è sempre la parte meno bella di megaeventi di questo tipo, in cui l’agonismo o “egonismo”, porta alla fame di medaglie in maniera spasmodica. Il conto degli ori è famelico e spesso il bronzo porta con sé un “oooh” di rammarico, perché senza gli ori non si sale troppo nella classifica “contro” le altre nazioni. Ed è divertente quando rimane solo un gioco (in fondo tutti noi vogliamo vincere anche se giochiamo a “scarabeo”), ma spesso si inasprisce in polemiche sterili che poco hanno a che fare con gli atleti e le atlete in campo.

Questo evento è stato raccontato a volte molto bene (un grande plauso a Rai2 per come ha seguito e commentato le Paralimpiadi), a volte male. In ogni caso, l’immagine emersa è stata quella di un modo aperto, accogliente, inclusivo, senza barriere, né stereotipi o pregiudizi. Purtroppo, non è così. Non appena spenta la fiamma, si torna nella quotidianità e neppure le grandi vittorie o imprese cancellano l’odio strisciante che spesso viene a galla con un fastidioso rigurgito.

Infatti, questi trionfi non sono stati esenti da critiche da parte di esponenti politici di destra, che hanno messo in discussione la "piena italianità" di alcuni di questi atleti. Un caso emblematico è quello di Paola Egonu, giocatrice chiave della nazionale di pallavolo femminile e figlia di migranti nigeriani. Nonostante il suo talento indiscusso, Egonu è stata al centro di polemiche a causa di commenti pubblici sull'aspetto fisico e sui suoi "tratti somatici", giudicati non rappresentativi dell'italianità. Il generale Roberto Vannacci, legato a posizioni della Lega, ha sollevato un dibattito controverso su cosa significhi essere italiano, pur riconoscendo il valore sportivo dell'atleta. Questo atteggiamento riflette un tema ricorrente nella politica italiana, dove la destra populista cerca di definire l’identità nazionale in termini esclusivi e basati su criteri etnici, nonostante l’evoluzione demografica del Paese.

Il dibattito sollevato dalle parole di Vannacci rispecchia un più ampio dibattito sulla cittadinanza e sull'inclusione in Italia, in cui la politica cerca di bilanciare una crescente diversità culturale con una visione tradizionalista dell'identità (Dal Lago, 1999). Anche nel contesto delle Paralimpiadi, atleti con background migratorio hanno contribuito al successo italiano. Rosa Efomo De Marco e Marius Bogdan Ciustea, per esempio, hanno rappresentato l’Italia con orgoglio, dimostrando che lo sport paralimpico può essere un veicolo non solo di successo, ma anche di inclusione sociale. Inoltre, si è iniziato a parlare di quanto sia importante normalizzare le persone con disabilità, evitando di porle su un piedistallo o di trattarle diversamente ghettizzandole.

Questo tema è emerso anche grazie all'autoironia di Rigivan Ganeshamoorthy, detto Rigi, medaglia d'oro nel lancio del disco paralimpico, nato a Roma da genitori dello Sri Lanka. È diventato virale sui social per la sua spontaneità, l'accento romanesco (ha dedicato la vittoria al decimo municipio) e la critica alla narrazione eroica delle persone con disabilità. Rigi ha respinto l'etichetta di "supereroe", enfatizzando l'importanza di riconoscere la disabilità senza stereotipi, sottolineando come la sua forza sia frutto di impegno e circostanze fortunate. In questo contesto, lo sport diventa un potente veicolo di inclusione sociale, come sostiene la sociologa Chiara Saraceno, che lo descrive come uno spazio in cui le differenze si dissolvono per perseguire un obiettivo comune di riconoscimento e successo (Saraceno, 2018).

Le parole di Ganeshamoorthy e i successi di atleti con background migratorio mostrano un'Italia in trasformazione, dove gli atleti di origini migratorie dimostrano che lo sport può diventare uno strumento di coesione sociale e di costruzione di una nuova identità nazionale, sfidando le retoriche nazionaliste e xenofobe.

Ed è quello che emerge dalla storia raccontata dai ragazzi e le ragazze del cricket che a Roma stanno non solo giocando questo sport in un parco (cosa che recentemente è stata vietata da una sindaca poco lungimirante), ma lo stanno anche curando e mettendo a disposizione di tutta la cittadinanza.

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Il video è stato realizzato all’interno del progetto Monitora, coordinato da Lunaria e di cui Uisp è partner, per completare il training online sul tema della lotta contro il razzismo nello sport. ((Daniela Conti, responsabile Politiche per l’Interculturalità e la Cooperazione - Davide Valeri, sociologo sport e migrazioni)

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