Domenica 19 gennaio scatterà la quindicesima edizione della Corsa di Miguel. Una manifestazione lunga 365 giorni, che da quindici anni a questa parte attraversa la città, le sue storie, le sue scuole, il suo futuro. Lunedì mattina per gli organizzatori sarà l’alba di un nuovo anno fatto di incontri, iniziative e manifestazioni che si concluderà con la corsa più numerosa, quella che impegna migliaia di appassionati la terza domenica di gennaio dal 2000 ad oggi.
Un modo diverso per raccontare la storia di Miguel Benancio Sanchez, atleta e poeta, uno dei trentamila desaparecidos scomparsi sotto la dittatura militare in Argentina. Miguel oggi è un simbolo della lotta contro l’ingiustizia e le disuguaglianze, una figura internazionale, come confermano le immagini del 18 dicembre scorso, con i calciatori del San Lorenzo de Almagro che consegnano sul sagrato di San Pietro una copia del Trofeo Inicial “Nietos recuperados” nelle mani di Papa Francesco, la coppa Miguel Sanchez.
Nel nostro paese la storia di Miguel arriva grazie a Valerio Piccioni, giornalista e organizzatore della Corsa di Miguel, che in occasione di un incontro sul tema “Sport e globalizzazione” viene a conoscenza della storia di un ragazzo che amava correre e scrivere.
Mai pensato di invitare Papa Francesco alla corsa?
Sì, ci abbiamo pensato. L’idea di chiamare Bergoglio prende spunto dall’incontro con i giocatori del San Lorenzo. La federazione Argentina aveva deciso di intitolare il campionato a Miguel. Al tempo stesso abbiamo preferito non cavalcare un’onda in cui spesse volte si mettono in tanti. In termini di comunicazione, improvvisamente, papa Francesco deve andare dappertutto, certo la richiesta l’abbiamo fatta. Per dare l’idea l’ultima coppa era intitolata a Evita Peron, Miguel ha fatto centro nel popolo argentino.
Quella di Miguel Sanchez è una storia di povertà e immigrazione.
La famiglia viveva dell’industria della canna da zucchero, da ragazzino abbandona la scuola per andare a lavorare in fabbrica, quando entra in crisi e si chiudono gli zuccherifici, s’impoverisce la zona e lui raggiunge i fratelli emigrati.
Abbiamo parlato di una figura globale come quella del Papa, a pochi giorni dalla scomparsa di un’altra grande figura come quella di Nelson Mandela. La lotta al razzismo e la difesa degli ideali di uguaglianza e solidarietà ha bisogno di icone universali per esistere?
Nonostante la morte di Mandela esistono ancora figure importanti. Forse non hanno la stessa potenza che hanno avuto in passato figure come Mohammed Ali che in questo momento, nell’ultima parte della vita, non ha potuto dire la sua nella lotta al razzismo. Le società sono piene di esempi, magari manca Mandela, ma pensiamo al nostro piccolo, oltre a Miguel alle tante formazioni multietniche che sono emerse in Italia. Mancano forse delle guide universali e in questo momento il Papa per quello che ha detto può raccogliere questo ruolo, con la Chiesa stessa che ha difficoltà a raccogliere le espressioni di rottura che porta avanti la sua guida spirituale.
La corsa di Miguel è anche una corsa contro il razzismo.
Il razzismo è una questione nazionale e credo anche europea. A volte per ragione di polemica politica si circoscrive ad emergenza nazionale e questo non trova una soluzione al problema. Io ho sempre apprezzato il modello scandinavo di accoglienza, integrazione e welfare, ma la trilogia di Stieg Larsson ci ha insegnato che i fenomeni di violenza ed esclusione sono diffusissimi anche in quelle società.
L’esistenza di gruppi neonazisti che proliferano è sinonimo di un’emergenza che non si ferma quindi solo all’Italia e al calcio. Certo, da noi si forma in questa terra di mezzo fatta di atteggiamenti che alimentano il mito della neutralità, come se certe abitudini si emarginassero solo con l’indifferenza e la mancanza di coraggio di portare avanti determinate battaglie. Sono vari pezzi di società dove si rafforza l’idea che chiudendo il recinto si possa tutelare un’identità e una sicurezza sociale. Tra l’altro non serve e dell’immigrazione non se ne può fare a meno. Purtroppo si alimenta con illusioni culturali, e pensare che non ci sia un paese multietnico e multi religioso è folle. Bisogna trovare un territorio comune e questa è la scommessa che si deve trovare in una nuova idea di Stato, che si deve fare portatore di questa mediazione.
La scuola può assumere questo ruolo?
La scuola va in controtendenza. Il posto più avanzato dell’integrazione e della capacità di raccogliere la ricchezza della diversità è la scuola nella società italiana. Questo grazie alla sensibilità dei docenti e grazie al fatto che nelle scuole elementari questa mescolanza è naturale. Naturalmente ci sono problemi diversi nelle zone del paese e della città. Lo testiamo in un viaggio che facciamo nelle scuole con la Corsa di Miguel, che personalmente mi porta in circa trenta istituti su un centinaio in totale che incontriamo come associazione. La sensazione è che sulla lotta al razzismo sia stato fatto un passo avanti e questo è un senso di speranza. Si formeranno dei cittadini che saranno in grado di accettare e apprezzare le diversità con maggiore facilità rispetto alle difficoltà incontrate dai genitori.
Il tema della violazione dei diritti, da quelli ambientali a quelli contro la persona è centrale nel dibattito sui due grandi eventi del 2014: Olimpiadi invernali e Mondiali di Calcio?
Mi viene in mente quello che diceva Tommy Smith in occasione della cerimonia in ricordo di Pietro Mennea. Ai tempi della protesta del guanto nero fu scelta una linea del silenzio, adesso si potrebbe scegliere una strada diversa, la strada delle parole. Ma non sono cose semplici. Ci vuole una complicità tra le parti migliori dello sport, che sono isolate tra loro. Questo isolamento è la cosa che mi colpisce di più.
Io non credo al boicottaggio, non ci sono i presupposti, che poi mette a punto dei meccanismi che portano ad operazioni di boicottaggio continuo di tutte le olimpiadi. Purtroppo i fenomeni di autoritarismo, prepotenza e negazione dei diritti sono diffusi, bisogna parlarne e sollevare questa dottrina di ipocrisia, di fedeltà al protocollo olimpico. Un giorno dovrebbero pensarci gli atleti che purtroppo sono condizionati dalle loro istituzioni nazionali e dalle loro istituzioni multinazionali. E’ complesso, ma credo ci siano gli spazi, persino a Pechino è stato possibile dire qualcosa e illuminare con delle luci ciò che era oscuro. Le Olimpiadi non guariscono i mali di una società, ma qualcosa c’è stato. Questo vale per l’omofobia e la repressione ma anche per il dibattito sullo sport.
La corsa di Miguel ha attraversato 15 anni di storia della città di Roma e non solo, il vostro è un appuntamento fisso in Argentina, all’Aquila avete ricordato Michela Rossi. Ma è a Roma che la corsa nasce, dagli anni del boom economico legato al Giubileo alla peggiore crisi economica dal dopoguerra a oggi. Roma sembra aver smarrito il proprio fascino, le cronache recenti ci descrivono una città stanca, sfibrata da cattive gestioni e da una crescente insofferenza da parte della sua popolazione.
La Corsa di Miguel non vive su Marte, e viviamo ogni giorno le difficoltà della città. Come corsa ci impegniamo a raccogliere lo stato d’animo delle persone. L’Aquila è stata una pietra miliare dell’impegno e della solidarietà dello sport. Il 18 ottobre 2009 il centro storico fu riaperto, fu una corsa nel silenzio più doloroso, più possibile, e più coinvolto. Il rapporto con le istituzioni è un rapporto che abbiamo sempre cercato di non forzare mai, pur non praticando la retorica della purezza, se vivi una città e devi pensare a chiudere strade, chiedere permessi, è chiaro che con le istituzioni devi parlare. Se devi aprire il Coni e lo Stadio Olimpico è chiaro che devi parlare con chi lo gestisce, che anzi si è rivelato sensibile di fronte alle nostre richieste. Il problema dell’Italia è che non esistono dei canoni oggettivi che consentano di sapere che ci sono delle regole e dei passaggi. In Italia tutto questo è soggettivo e quindi c’è una spesa micidiale di risorse, contatti, rapporti, mail e permessi che obbiettivamente ti strema. Il nostro tentativo è di portare tutto alla luce del sole: spese, progetti, il vissuto quotidiano della manifestazione. Domenica prossima i podisti nel pacco gara troveranno per filo e per segno tutto ciò che dobbiamo spendere e come lo spenderemo. La Corsa di Miguel madre servirà a finanziare le Corse di Miguel più piccole. Noi portiamo cento scuole a correre, le medie e le elementari le portiamo in pullman, e da un rapido calcolo puoi constatare che in media spendiamo almeno 25 mila euro per permettere tutto questo.
Domenica in contemporanea si correrà la Strantirazzismo, ci contate molto.
La Strantirazzismo sarà allo stesso tempo la sorellina e il cuore della Corsa di Miguel. Noi ci teniamo tantissimo ed è il pezzo di un percorso lungo un anno. Saremo nelle scuole, organizzeremo a Giugno la Staffetta Mappamondo, dietro la Corsa di Miguel c’è un grande lavoro. Quest’idea che lo sport serva a conoscere altre culture, l’idea che lo sport serva anche per conoscere dei paesi e dei pezzi d’identità è affascinante. Si può raccontare la storia e la geografia attraverso lo sport, e questa è una sfida che la scuola italiana può affrontare. La scuola ha bisogno di maggiore pianificazione, se a settembre il coinvolgimento dei coordinatori di educazione fisica e gli operatori del settore si limita al problema del reperimento delle risorse rimane una questione burocratica e danneggia tutti.
Puoi parlarci di Pietro Mennea, questa edizione della Corsa si caratterizza per l’arrivo nello Stadio dei Marmi intitolato proprio a lui.
Mennea è molto coerente con questo nostro percorso, la storia di Pietro è molto complessa, una storia fatta come tutte le vite degli uomini, anche di periodi. Ho avuto la fortuna di accorgermi di quello che era diventato Pietro Mennea negli ultimi anni. Per lungo tempo della sua vita ha vissuto all’interno di una modalità che all’apparenza sembrava essere l’unica possibile. Perché partire da una posizione di partenza così lontana dall’eccellenza, essere un atleta di 179 cm per 66 kg e rimanere tale fino al termine della carriera, vuol dire affrontare sacrifici pazzeschi, avere testa, allenamento, esperienza e concentrazione. Studente modello, avvocato di successo e soprattutto è stato un personaggio che ha girato nel silenzio generale il sud d’Italia, le scuole, i campi. Il tutto, senza che le istituzioni sportive si accorgessero di questo nuovo Mennea che si stava affermando e che magari usciva da una difficoltà a relazionarsi che effettivamente c’era ed è stata oggettiva. Quando è mancato è stata naturale l’incontro tra Manuela Mennea e la Corsa di Miguel. Mi ero scordato alcune cose, ad esempio una foto che ho trovato poco tempo dopo la scomparsa di Pietro. Circa dieci anni fa, la corsa di Miguel era gracilina, e in questa foto c’erano Pietro e Elvira Sanchez. Lui era venuto, aveva parlato, aveva fatto sua questa storia e mi sono ricordato di quando diede il suo assenso all’utilizzo della sua sagoma con Miguel. Ogni volta che l’abbiamo chiamato, non certo per convenienza perché non aveva di certo bisogno di visibilità, ha risposto.
Non avevo capito che era uscito dal tunnel del post carriera. Per un atleta un tunnel difficilissimo da gestire. Un giorno mi recai ad un evento in una scuola, sento da lontano una voce conosciuta, la sua, che arringava i ragazzi col megafono. Sapeva mettersi continuamente in gioco. Non c’è nulla di artificioso e strumentale nell’incontro tra Mennea e Miguel. E questo avviene grazie a una moglie straordinaria che fa di tutto per far rivivere e proseguire il lavoro di Pietro.
È stato un personaggio scomodo e ammetto di essere orgoglioso se il Presidente del consiglio cita la sua figura, ma quando parliamo di Roma 2024 non dobbiamo dimenticare ciò che Pietro diceva di Roma 2020. Ricordiamoci dei problemi nati nelle società che hanno organizzato le olimpiadi. Evitiamo di tirare fuori dalla soffitta la memoria di un campione solo per fare della retorica.
Nel salutarci chiedo a Valerio se anche in Italia lo sport può coesistere con la cultura.
Lo sport è una parte del mondo e ci aiuta moltissimo a capirlo e scoprirlo, sul piano psicologico, comportamentale, sociale e sociologico.
Sono ancora aperte le iscrizioni alle due versioni non competitive della Corsa, quella sui 10 chilometri e quella sui 4 chiamata Strantirazzismo. Venerdì mattina ci sarà all'università del Foro Italico una giornata di ricorda di Pietro Mennea con la lezione del professor Vittori su "Allenare nell'atletica".