Un articolo del Redattore Sociale dell'11 giugno scorso porta alla luce importanti dati, emersi dall'indagine sulla condizione di rom e sinti redatta dalla Casa della Carità. I risultati sono stati presentati alla Triennnale di Milano e fotografano una realtà tuttaltro che incoraggiante sulla condizione delle minoranze rom e sinti che vivono nel nostro Paese ormai da moltissimi anni.
Fra i dati che ci hanno maggiormente colpito: il 65% dei rom e sinti in Italia vive segregato in spazi dedicati solamente al proprio gruppo etnico e il 19% non sa né leggere né scrivere.
Abbiamo dunque interpellato Roberto Hamidovic, giovane rom del campo di Castel Romano e tesserato da anni all'Uisp di Roma. Un amico dell'UISP, impegnato in associazioni e cooperative allo scopo di far conoscere e migliorare la condizione dei rom a Roma e in Italia.
Abbiamo quindi voluto comprendere dall'interno qual' è la situazione attuale e conoscere le difficoltà sue e delle persone che vivono nel suo campo.
A vederlo, a parlarci, sembra più adulto di quello che è, ma in realtà Roberto non ha neppure 30 anni, eppure alle spalle ha già due matrimoni ed esperienze di vita tuttaltro che semplici.
Una storia la sua molto particolare, un esempio forte, un monito per chi non crede di potercela fare e che si chiude, accettando una condizione che gli è stata imposta o a cui semplicemente si è abituati.
Roberto invece ha deciso, fin da giovanissimo, di ampliare le sue vedute, di uscire fuori dal campo, inaugurando un cammino di integrazione piena che ha preso il via con lo studio, per culminare poi nell'impegno profuso nella sua associazione sportiva Sporting Rom. Il suo scopo è far conoscere ai più la sua cultura, fatta di numerose sfaccettature.
In ogni sua battuta, in ogni sua risposta sono le parole legalità e integrazione ad emergere, le stesse che per lui rappresentano imperativi categorici che si fanno spazio e guidano ogni sua azione ogni giorno.
Sei nato in Italia, ti senti italiano, ma hai subito negli anni discriminazioni dentro e fuori dal campo. Puoi parlarcene?
"Si, sono nato qui in Italia. Mio padre è venuto nel 1975 circa e la mia famiglia si è dunque stabilita a Roma fino ad oggi che viviamo stabilmente nel campo attrezzato di Castel Romano, sulla via Pontina.
Le discriminazioni, andando in giro, sono negli sguardi delle persone, nella diffidenza, nei gesti. E' ormai un luogo comune credere che i rom facciano una vita votata all'illegalità, all'illecito, alla violenza, ma non è così e solo conoscendoci, comprendendo la nostra cultura, i nostri costumi, si può capire la realtà. Una realtà fatta di mille sfumature. Siamo in 2000 nel campo e la maggior parte sono giovani. Amo definirci un popolo bambino: sono infatti pochi gli anziani, la nostra aspettativa di vita è abbastanza bassa e ciò è probabilmente dovuto al degrado in cui viviamo. Inoltre ci sposiamo giovanissimi e per noi le responsabilità di una famiglia, dei figli arrivano presto.
Tornando alle discriminazioni, anche all'interno del campo ho subito una forma di emarginazione fin da piccolo. Tutti i ragazzi del campo, ma anche gli adulti e la mia stessa famiglia, mi vedevano come una mosca bianca. Avevo manifestato la voglia di andare a scuola, di imparare bene l'italiano, la cultura italiana. Il mio modo di vedere la vita veniva visto come strano, fuori dai canoni e parlando italiano anche all'interno del campo, c'era chi non mi capiva e chi, invece, non provava neppure a farlo".
Finita la scuola, in quale direzione ti sei orientato?
"Dopo aver ottenuto la licenza media ho cercato di inserirmi in un contesto lavorativo, con la voglia di agire sempre nella legalità e nella partecipazione attiva alla società. Ho fatto il fruttivendolo e il giardiniere, ma anche qui le difficoltà legate alle discriminazioni non si sono fatte attendere. Anche oggi spesso sono costretto a dire qualche bugia per ottenere un lavoro, seppur temporaneo, magari dicendo che sono croato o giù di lì. Mi è capitato una volta di essere cacciato dopo che il mio principale aveva scoperto che ero un rom. Io capisco bene la diffidenza. Chi sbaglia deve pagare, ma non credo sia giusto che debba essere tutta la comunità rom a pagare per gli sbagli di singoli elementi".
Come hai iniziato la tua esperienza con l'UISP e con lo sport?
"Circa 15 anni fa ho fatto presso l'UISP di Roma un corso della Regione per operatore turistico-sportivo insieme ad altri 7-8 ragazzi rom. E' durato un anno circa e mi è servito molto a comprendere le dinamiche che stanno dietro allo sport, ad appassionarmi a questo mondo, a conoscere l'UISP che in questi anni mi è stata molto vicina. Volevo utilizzare queste mie nuove competenze per evolvermi, inserirmi in un contesto sociale. Pensavo che per me ci fosse un'altra strada, molto diversa dalla delinquenza. E' stata l'UISP a farmi conoscere lo sport, le sue regole, il senso del rispetto e della correttezza.Ora sono un'attivista non solo a livello locale: giro infatti per l'Italia e a volte anche per qualche città europea per far capire che la comunità rom esiste, che vuole entrare a far parte della società, in un'ottica di piena legalità! Quando mi sono reso conto che lo sport aiuta molto ad integrarsi, ad uscire dall'emarginazione, ho deciso di mettere in piedi la Sporting Rom, un'associazione sportiva affiliata all'UISP Roma che nasce proprio con l'obiettivo di far integrare i bambini attraverso lo sport. Perché lo sport è uno strumento che ci ha aiutato moltissimo e continua a farlo".
Nell'indagine della Casa della Carità emerge un dato preoccupante per quanto riguarda la scolarizzazione. Nel tuo campo qual è la situazione? Ci sono servizi finalizzati a ciò?
"Per quanto riguarda i più piccoli c'è un servizio di bus che viene a prendere i bambini della materna e delle elementari per portali a scuola. Dalle medie in su non c'è un mezzo o un servizio. C'è chi decide di frequentare la scuola e chi no, indipendentemente da ciò. Certo è che noi siamo un po' penalizzati dall'isolamento del nostro campo rispetto ad altri della Capitale. La comunità rom purtroppo non riesce ad avere un alto livello di scolarizzazione. Sono circa 20 in tutta Italia i laureati rom e un centinaio i diplomati. La nostra istruzione si conclude alla terza media".
Quali sono le tue aspettative, le tue speranze future?
"Spero di trovare un lavoro che non mi penalizzi solo perché sono un rom. Vorrei non essere giudicato negativamente per colpa di quei rom che vivono nella delinquenza e ci rovinano tutti a livello di immagine. Non siamo tutti dei criminali, non è cosi e io sono la prova!!! Onestà e legalità guidano le mie scelte. Non voglio essere una mosca bianca, ma un virus all'interno dei campi rom!".