di Margherita Vetrano (b-hop.it) – Il sogno di Anna Claudia Cartoni, mamma di Irene, in carrozzina da 16 anni, è un centro sportivo aperto a tutti, anche ai disabili, in un ambiente condiviso: “Vorrei che nascessero posti di aggregazione extra-scolastici. Tra corsi di musicoterapia e partite di tennis, si potrebbe prendere un caffè e socializzare. Per ora è solo un sogno ma in futuro, chissà?”
Potrebbe essere un Centro sportivo Uisp (Unione italiana sport per tutti) presso il Centro Fulvio Bernardini di Roma. Il potere aggregante dello sport è grande e non si sente la condizione di dover essere aiutati ma solo la voglia di superare insieme le barriere e lei lo sa.
Romana D.O.C., Anna Claudia si forma all’ISEF e dedica tutta la sua vita allo sport.
Allenatrice federale di ginnastica artistica, habituè di maratone, ora ha un ruolo d‘ufficio part time ma continua a trarre benefici da una vita dinamica.
Mentre racconta, ha gli occhi che le brillano. Pensa ad Irene, sua figlia.
“Dopo che è nata Irene mi sono fermata per sei anni, avevo bisogno di conoscerla e dedicarmi a lei”, ricorda.
Nata con insufficienza respiratoria ed un grave onfalocele, Irene subisce un arresto cardiaco a dieci mesi di vita che la costringe per oltre un anno e mezzo in terapia intensiva.
Questa battuta d’arresto ne compromette lo sviluppo neurofisiologico ed oggi Irene vive in carrozzina, senza la possibilità di esprimersi verbalmente né di avere un’autonomia motoria.
“Nei primi anni abbiamo fatto ogni tipo di terapia per lei ma quella più importante è stata portarla con noi ovunque”. Zaino in spalla, Anna Claudia e suo marito Fernando, hanno portato Irene in montagna, al mare e in viaggio.
Hanno partecipato a gare podistiche con la carrozzina, anche quando è diventata più grande.
Ma oggi non si può più.
“Irene cresce ed io invecchio; serve un altro tipo di aiuto ma soprattutto serve rallentare. La vita non può essere solo terapia né accudimento“, racconta Anna Claudia:
“Per me è sempre stato molto importante farla vivere con un po’ di leggerezza. Voglio darle una vita normale. Oggi il nostro obiettivo è vederla felice e darle la vita migliore possibile”.
Rispetto a qualche anno fa, in cui mostrava alcuni progressi, oggi è stabile nella sua condizione.
Irene comunica le sue emozioni attraverso espressioni di gioia o di tristezza ma soprattutto lo fa attraverso i grandi occhi scuri con i quali indica, chiede, racconta.
Sta nel suo mondo, fatto di una stanza attrezzata, di una carrozzina, dell’assistenza domiciliare ma anche della scuola, dei compagni e della vita all’aria aperta. Ama i bambini ed ama stare insieme a loro.
“Ho paura della sua solitudine futura” confida Anna a B-hop magazine: “Gli ambiti di socializzazione per ragazzi come lei sono molto difficili ed anche per genitori come noi. Gli amici storici si sono ridotti all’osso perché il tempo per noi è più lento rispetto al ‘mondo degli altri’. Abbiamo mantenuto contatti con le famiglie conosciute in Terapia intensiva perché con loro il rapporto va oltre l’amicizia ma non è semplice frequentarsi. Adesso che Irene va a scuola, abbiamo più opportunità di conoscere e frequentare persone nuove.
La disabilità ti limita ma non nella libertà mentale. Non soffriamo socialmente perché anche a noi è concesso divertirci”
Anna Claudia rifiuta il cliché di mamma coraggio ed è limpida nel confidare i suoi crucci.
Le manca molto la libertà dell’autonomia ma anche la possibilità di condividere passioni ed esperienze con la figlia.
“Sono una mamma che non è mai stata chiamata mamma ma la sofferenza non ti annulla perché la vita va avanti e la strada la indica Irene. Se lei ce la fa, allora posso farcela anch’io”.
Non pensa al futuro perché fa male ma si concentra su quello che si può cercare di migliorare.
“Le istituzioni non aiutano e si è soli nella difesa dei diritti dei nostri figli”, prosegue. “Le vere informazioni arrivano attraverso il passaparola di chi ci è passato prima di te ma non è facile trovare il proprio percorso con il maggior successo possibile, soprattutto perché sperimenti sulla tua pelle”.
Questo grido contro la solitudine, si è concretizzato in un libro che racconta la loro storia.
“Irene sta carina – Una vita a metà“, edito da Harpo, racconta di Irene ma anche di Anna Claudia, della loro famiglia.
Parla degli anni in Terapia intensiva ma anche del ritorno a casa. Racconta della vita di una ragazza speciale e del suo mondo.
Racconta anche di una famiglia che si plasma su di lei per sostenerla e permetterle di andare avanti nel miglior modo possibile.
“Il libro è una promessa mantenuta. E’ nato di getto, quando hanno tolto la tracheotomia ad Irene.
E’ il mio racconto per lei anche se non so se potrà mai leggerlo”.
E’ una testimonianza concreta della vita con disabilità e del ruolo di caregiver.
E’ una mano tesa alla ricerca di una vita più lieve perché “il dolore da solo non uccide”.