Comitato Territoriale

Reggio Emilia

PIU´ REGOLE MA SENZA ALLARME PER GESTIRE IL FOTOVOLTAICO

Vi proponiamo un articolo di approfondimento:

IL TIRRENO
Rassegna stampa quotidiana della Provincia di Grosseto a cura dell'URP
Web http://www.provincia.grosseto.it e-mail urp@provincia.grosseto.it
2010-02-09
AMBIENTE

PIU´ REGOLE MA SENZA ALLARME PER GESTIRE IL FOTOVOLTAICO

Caro direttore, gli argomenti da lei sollevati riguardo al forte sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili in Toscana meritano un approfondimento che prenda in considerazione alcuni dati quantitativi.
Vorrei parlare in particolare del fotovoltaico che, tra le fonti da lei citate, è quella più esigente in termini di consumo di territorio.
Partiamo perciò da un dato, il consumo elettrico annuo della regione Toscana, che oscilla intorno ai 22.000 gigawattora. Per produrre tutta (tutta!) questa energia, allo stato attuale della tecnologia fotovoltaica, dovremmo ricoprire di moduli una superficie di circa 200 chilometri quadrati. Non poco, ma meno dell’1% della superficie regionale (ricordo che la superficie urbanizzata rappresenta il 4% della Toscana). Detto questo, a me non piacciono i campi solari (le installazioni fotovoltaiche sul terreno), preferisco anche io vigne, oliveti, boschi o anche semplicemente prati, e spero che la prossima revisione degli incentivi al fotovoltaico premi sempre di più le installazioni sui tetti e sempre meno quelle a terra.
Vorrei però soffermarmi sul tipo di trasformazione del territorio che tali installazioni producono. Il boom edilizio di questo ultimo decennio, la proliferazione delle seconde case, la distruzione delle nostre coste, l’infinita serie di capannoni industriali che costeggiano le nostre strade (e che ora giacciono vuoti in attesa che la crisi passi), questo sì che ha distrutto il territorio, anche nella verde Toscana.
Tangenziali, circonvallazioni, viadotti, anche questi non ce li siamo risparmiati, così come non abbiamo lesinato in sventrare montagne. Persino il pregiato marmo delle Apuane viene cavato senza sosta e per farne in gran parte volgari granulati. Da tutto questo non si torna indietro. Invece un campo solare non è che una stesa di moduli su un prato, sotto rimane la terra, il danno è prevalentemente estetico. Tra 30 anni, quando i moduli saranno più efficienti, e finalmente avremo capito che non si costruiscono edifici senza predisporli per un impianto solare, quel 4% di urbanizzato fornirà da solo l’energia necessaria.
Allora questi campi li smonteremo, e potremo tornare a stenderci sull’erba. Erba che invece non avremo scegliendo un’altra fonte da lei citata, quella delle biomasse, perché l’efficienza di conversione energetica di queste è infinitamente minore di quella da fonti solari.
Per produrre la stessa energia citata all’inizio piantando colza, e producendone biocarburante, avremmo bisogno non di 200, ma di 6.000 chilometri quadrati di terreno, e di fertilizzanti chimici e disboscamenti ecc. ecc. Una fonte quindi assolutamente inefficiente, ma che, guarda caso, garantirebbe in parte la sopravvivenza della filiera dei combustibili attuale.
Mi associo quindi alla sua esortazione: ben vengano regolamenti pubblici chiari e rigorosi, ma senza cadere nella trappola di facili allarmismi, magari stimolati proprio da quei poteri economici che vedono pian piano crollare il loro monopolio fatto di petroliere, oleodotti, inquinamento e, non dimentichiamolo, guerre.
 
LUCA BONCI presidente Solar Systems & Equipment