Comitato Territoriale

Reggio Emilia

ORIZZONTE ITALIANO

di Vittorio Martone


Il suo mandato come presidente Anci si apre con una sfida significativa. Il primo gennaio del 2012 entreranno in vigore i tagli del Governo. Nel frattempo dovranno concludersi i lavori della Commissione paritetica Governo/Enti locali sul patto di stabilità. E i comuni dovranno evitare il paradosso di un aumento della pressione fiscale a fronte di una riduzione dei servizi. Quale percorso operativo avete avviato a fronte di questi impegni?
"La convocazione della conferenza per il coordinamento della finanza pubblica - organismo previsto dalla legge 42 sul federalismo e mai convocato - e della commissione paritetica per il riordino istituzionale sono già due grandi passi. Fino ad oggi infatti è mancata completamente una concertazione reale tra Stato, Regioni, Provincie e Comuni. Questo non alleggerisce i provvedimenti del Governo che rimangono insostenibili. I tagli sui comuni ammonteranno infatti
a più di 6 miliardi di euro. Anche la Corte dei conti ha sottolineato la gravità della situazione, bacchettando il Governo e affermando che i comuni non potranno contare sui fondi della cosiddetta 'Robin Hood tax'. Parliamo dunque di ulteriori entrate che non saranno iscritte a bilancio nel 2012, come anche quelle derivanti dalla lotta all'evasione fiscale. Sono certo che, senza un rimedio, andremo incontro a una stagione di grande mobilitazione".

Il suo discorso d'insediamento all'Anci conteneva ripetuti appelli all'unità. Al netto dei contrasti interni al Pd che hanno preceduto la sua elezione, ritiene che la situazione economica che i comuni dovranno affrontare possa ledere l'unità dell'Anci?
"Questa ipotesi non è all'orizzonte. I comuni, da quelli più piccoli fino alle città, hanno tutti problemi finanziari gravi e rischiano di non riuscire a garantire l'erogazione dei servizi ai cittadini. Il tentativo di dividere virtuosi da non virtuosi rappresenta un meccanismo che non avrà alcun esito. L'unità è un valore dell'associazione che non è messo a rischio. Anzi abbiamo una solidarietà, anche sulle ipotesi di uscita dalla crisi, che forse mai prima si era registrata. C'è inoltre un giudizio unanime sull'incapacità del patto di stabilità di risolvere i problemi sia del debito che del controllo della spesa: per tutti il patto di stabilità ha fallito, deprimendo la spesa per gli investimenti e la spesa produttiva senza avere influenza sulla spesa corrente, quella che va davvero tenuta sotto controllo".

Tra le clausole inserite negli otto decreti attuativi sul federalismo fiscale ce n'è una che riguarda il ruolo delle municipalità nel controllo fiscale sui cittadini, il cosiddetto "patto antievasione". Su 8092 comuni hanno aderito al patto solo 549. Di questi la metà sono emiliano-romagnoli. Come giudica questi dati?
"Credo che, al di là della propaganda, non sia stato chiarito il ruolo dei comuni. Per esempio: se il compito è quello della segnalazione all'Agenzia delle Entrate è importante che i comuni abbiano accesso alle banche dati, cosa che non avviene. Solo i comuni già organizzati per interagire con altri enti sono riusciti a sviluppare un meccanismo efficiente di segnalazione. Altro esempio: l'istituzione dei consigli tributari serve a pochissimo, secondo noi. Ciò nonostante è uno degli elementi su cui il nuovo decreto ha basato l'attribuzione alle realtà locali del 100 % delle risorse recuperate. La nostra proposta è di mettere su un livello regionale i consigli tributari, semplici organi di indirizzo, dando ai comuni l'accesso alle banche dati. In questo modo si otterranno risultati straordinari. Ovviamente pensiamo che l'evasione fiscale sia una malattia da estirpare e siamo disponibili a far parte del corpo curante, fermo restando che la lotta all'evasione è compito principale dell'Agenzia delle Entrate. Lo sottolineo perché è importante che in questa Repubblica ognuno faccia il suo mestiere, provando a farlo bene".

Si accennava al rischio di riduzione dei servizi. Una prospettiva che obbliga a rivedere le relazioni con il terzo settore, che al riguardo ha storicamente ricoperto un ruolo di sussidiarietà nel rapporto con i comuni. Come si svilupperà questa relazione?
"I rischi sono enormi e li ho ricordati ieri (27 ottobre, ndr) in audizione alle commissioni congiunte della Camera. Non si può pensare di avere una legge di riforma fiscale e assistenziale come quella che si sta discutendo in questo momento. È una legge che non valorizza il terzo settore ma delega ad esso, oppure all'Inps, le funzioni proprie dei comuni. Si passa di fatto a una privatizzazione del welfare che avviene con due strumenti. Il primo è il taglio dei fondi che creavano servizi assistenziali sul territorio, come per l'autosufficienza e la famiglia. Il governo è molto lucido in questa strategia e infatti ha ridotto dell'85 per cento i fondi sociali. Nello stesso tempo si evoca un protagonismo della società civile non coordinato e sostitutivo. Ma la parola sussidiarietà non è sinonimo di sostituzione, è sinonimo di protagonismo coordinato. Almeno finché la costituzione affida ai comuni compiti amministrativi in campo sociale e finché esistono leggi dello Stato che dicono che i comuni devono programmare valorizzando il terzo settore. Mi sembra invece che si stia andando da un'altra parte, con grandissimi rischi di smantellamento di quel poco di stato sociale che c'è in Italia e con un meccanismo di delega rispetto ai corpi intermedi che farà male anche a loro".

Secondo lei c'è il rischio che passi una logica culturale per cui le imprese sono pari ai comuni e al terzo settore?
"Il rischio c'è. Perciò ribadisco che né i comuni né il terzo settore sono imprese. La soluzione dei problemi non passa dal soddisfacimento di un cliente ma dal coinvolgimento del cittadino nel benessere della comunità".

Passiamo dal terzo settore nel suo complesso all'associazionismo sportivo. Che attenzione sarà riservata, nella strutturazione delle linee guida dell'Anci, a questo mondo?
"Molto alta. Anche dalla mia esperienza personale deduco che abbiamo molto bisogno del protagonismo dal basso dell'associazionismo sportivo. Abbiamo bisogno di considerare lo sport come parte del sistema di welfare. Lo sport è infatti uno straordinario strumento educativo, di socialità, di benessere. La promozione della pratica sportiva non ha effetto solo in termini di salute ma anche di complessivo benessere sociale. Quindi il sistema dei comuni sarà sempre attento a questa dimensione".

Veniamo allora alla questione del modello sportivo italiano, attualmente basato sul principio di delega al Coni. Quest'ultimo ha da poco avviato una riforma interna che sa più di riorganizzazione. La Uisp intanto si è fatta promotrice di un nuovo modello che, partendo dal coordinamento centrale del Governo, ha al proprio centro un'agenzia nazionale dello sport collocata all'interno della conferenza unificata Stato/Regioni. Qual è la posizione dell'Anci al riguardo e che ruolo lei potrebbe ipotizzare in questo percorso per l'associazione dei comuni?
"La nostra parola d'ordine di Brindisi (sede del congresso Anci, ndr) è stata 'autonomia'. Noi siamo profondamente convinti che alcune politiche, come anche quelle sportive, siano più facilmente realizzabili e capaci di produrre effetti di benessere sulle nostre comunità se c'è una loro decentralizzazione. Vediamo con piacere tutto ciò che sposta il centro direzionale direttamente sui territori, perché crediamo che le migliori pratiche vengano fatte grazie al protagonismo dal basso. Non si può dunque aspettare che la struttura centrale dello sport venga progressivamente smontata per carenza di risorse. Bisogna inventarsi altro e dare protagonismo alle associazioni di promozione sportiva. Questa è la sola ricetta per continuare ad avere delle politiche coordinate".

Dovendo dettare delle linee guida per l'impiantistica sportiva, quale esperienza porterebbe conLa cerimonia di consegna del tricolore alla Uisp - Foto di Federica Imbrogli sé dal territorio di Reggio Emilia e quali priorità presenterebbe all'Anci?

"Il patto di stabilità, così come è concepito, ha depresso tutti gli investimenti e determinato un loro crollo anche nell'impiantistica. Non si può trascurare che i comuni sono impossibilitati a investire non solo perché manca il denaro ma anche perché a volte, pur avendolo, non si può spendere a causa del patto. È saltata dunque la capacità di programmazione dell'impiantistica e sta saltando anche la parte manutentiva. A Reggio abbiamo fatto un'esperienza che ritengo molto positiva con l'istituzione della 'Fondazione per lo sport', un organismo cui partecipano tutte le associazioni di promozione sportiva che è dedicato allo sport di base. Abbiamo costruito una struttura ad hoc e insieme alle società, con un misto di pubblico e privato in una specie di project financing, stiamo riuscendo a evitare il blocco degli investimenti. Lo strumento è partecipativo. C'è dunque un processo democratico: si stabiliscono le priorità e poi si stimola coloro che vogliono essere promotori dell'impiantistica anche ad assumersene una parte di rischio. E finora ha funzionato".

Lei è più propenso allo sviluppo di un'impiantistica sportiva intensiva o di prossimità?
"Noi abbiamo puntato molto sull'impiantistica cosiddetta di quartiere, di prossimità. Per noi è molto importante una programmazione legata ai bisogni del territorio e alle associazioni di volontariato. Questa è la nostra priorità. E credo che la scelta sia stata apprezzata. A Reggio è nota l'esperienza non positiva dello stadio Giglio, molto capiente ma spesso vuoto. Non è un'esperienza che vogliamo ripetere".

Crede che questa possa essere una linea guida per l'Anci?
"I sindaci per definizione sono anarchici quindi non è possibile ipotizzare imposizioni. Si sa che la pressione mediatica sulla grande impiantistica è sempre molto forte. Ma nell'ottica di una nostra rivisitazione del welfare di comunità e della promozione delle comunità locali ci sta molto di più un simile indirizzo rispetto a quello dei grandi impianti".

Al di fuori dell'impiantistica, altro elemento centrale nel rapporto tra istituzioni locali ed enti di promozione sportiva è quello delle politiche trasversali. Quali incroci tra assessorati avete sviluppato a Reggio per rafforzare l'implicazione dello sport con cultura, sanità, politiche giovanili e integrazione? E quali si possono ipotizzare a livello nazionale?
"Da un punto di vista operativo non ci sono grandi percorsi messi in piedi. Abbiamo cercato di far diventare lo sport parte degli obiettivi generali agendo per linee strategiche, non per settori. Lo strumento operativo della Fondazione credo abbia consentito al mondo sportivo di percepirsi non più come isolato ma in un contesto cittadino e di quartiere. Questo ha determinato una buona integrazione con le politiche sociali. Credo che il passo che devono fare le amministrazioni è di assumere lo sport come un pezzo del welfare".

Nell'intreccio tra politiche pubbliche e sport si finisce con l'intercettare un tema molto caro alla Uisp: la questione dei diritti di cittadinanza per i migranti. Quale posizione assumerà l'Anci in merito, fatta salva ovviamente l'anarchia dei sindaci?
"Nonostante l'anarchia, i sindaci hanno presentato in maniera unanime una proposta di legge per l'elargizione del diritto di voto amministrativo a tutti coloro che da più di cinque anni risiedono nel territorio comunale, adeguandosi così a quel che succede a livello europeo. Molti sindaci stanno poi aderendo alla campagna 'L'Italia sono anch'io' - di cui casualmente sono presidente proprio io - che è centrata sul riconoscimento dei diritti di cittadinanza ai giovani di origini straniere. Purtroppo in Italia la cittadinanza è legata quasi esclusivamente allo ius sanguinis, cioè la discendenza di sangue. Anche qui siamo lontanissimi dalle prospettive europee, dove invece il diritto di suolo ha più importanza. Così, di fatto, noi generiamo degli stranieri, ragazzi che non si sentono a casa loro, che non possono essere tesserati nello sport professionistico pur essendo nati in Italia e vissuti qui fino a sedici anni. Ma è importante agire sui diritti di cittadinanza anche nell'ottica di quanto sancito nell'articolo quattro della Costituzione, che prevede per tutti i cittadini l'obbligo di contribuire allo sviluppo economico e sociale del paese. Altrimenti, come spesso viene detto, chi è orfano nella terra dei diritti non riesce nemmeno a svolgere i propri doveri. Al riguardo, credo che i comuni daranno ancora una volta un segnale forte su come si possa riformare dal basso una legge antiquata che non ci fa stare in Europa come vorremmo".

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