Martedì 7 settembre si è tenuto a Roma l’incontro del progetto europeo IRTS-Integration of Refugees Through Sport. I partecipanti si sono incontrati sul campo dei Liberi Nantes ed hanno potuto conoscere la realtà della squadra Uisp Roma. In questa occasione l’Uisp ha intervistato Khalida Popal, fondatrice e direttrice della Girl Power Organization e direttrice del programma e degli eventi della squadra nazionale di calcio femminile dell’Afghanistan.
Rifugiata e residente in Danimarca, Khalida usa lo sport come attività sociale e attraverso alcuni programmi specifici cerca di aiutare le donne, rifugiate e non, che hanno bisogno di supporto e di aiuto per integrarsi nella società. Il calcio è uno strumento per includere donne e ragazze e anche per far sentire la voce delle donne dell’Afghanistan, un Paese che nonostante gli aiuti internazionali ricevuti, sta ancora lottando. "In quanto donna e rifugiata, uso lo sport e l'attività per responsabilizzare e dare sostegno a donne e ragazze, che hanno bisogno di inclusione e integrazione nella società. Il calcio è sempre stato uno strumento per spingere all’emancipazione e all’inclusione, oltre che un modo per far sentire la mia voce in quanto donna afghana", dice Khalida. Il calcio è un mezzo per concretizzare il suo attivismo, da usare per rivendicare il suo diritto di schierarsi e per incoraggiare donne e ragazze ad unirsi al movimento attraverso lo sport. Un impegno portato avanti anche dalla nazionale femminile afghana che, dal 2007, anno della sua nascita, è stata uno strumento per affermare l' avversità ai talebani e dire no a chi, durante gli anni del periodo buio del regime, ha rubato il diritto delle donne all'istruzione e alla partecipazione attiva. "Ci hanno messo a tacere e le donne sono scomparse dalla società, mentre affrontavano sfide in termini di abuso sessuale, discriminazione, mancanza di partecipazione. Una volta - ricorda Khalida - mentre giocavo a calcio nel campetto di una scuola, un gruppo di uomini ci ha tolto la palla dicendo che le donne e le ragazze non possono giocare e che sono fatte per stare a casa a pulire i piatti o servire gli uomini. Potevo piangere, ma ho usato la mia voce perché non ho una pistola, non saprei come usarla e non voglio farlo. Ecco, la mia voce è stata la mia forza per spingere ragazzi, ragazze e donne ad unirsi a me nello sport".
Reduce di tante sfide e minacce di morte, Khalida è dovuta fuggire dall'Afghanistan. Di quel momento ricorda: "Quando ero al centro rifugiati, sentivo di non poter fare nulla. Non avevo rete, non avevo amici, non avevo nessuno e soffrivo di depressione. Lo sport mi ha aiutato ad alzarmi e ho usato la mia voce per incoraggiare donne e ragazze a difendersi. Lo sport è un mezzo che include e crea un momento sociale, una vera e propria comunità". L'attivista si dice molto preoccupata dalla crisi umanitaria in corso nel Paese dopo la caduta di Kabul, che colpisce la giovane generazione che non ha vissuto la vita sotto il regime oscuro dei talebani. "Le donne perderanno la voce, vivranno un altro periodo oscuro. Le persone si sentono abbandonate, sono lasciate sole, non hanno protezione. Lo sport può creare rete, unire e aiutare chi è in difficoltà ad uscire fuori dal Paese e mettersi al sicuro", dice Khalida. Infine, il suo messaggio per le donne: "Avete ancora potere, usatelo! Non sentitevi inutili! Se sei una donna che soffre, fatti sentire ed ottieni supporto. Unisci le persone per difendere ciò che è giusto e i diritti di tutti. Usa la tua voce! E' importante". (C.F. e S.P).
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